In occasione della mostra “Morârs”, in programma da sabato 1° dicembre 2018 al 28 febbraio 2019 presso la sala consigliare di Basiliano (Udine), abbiamo l’onore di esporre un dipinto di Mario Micossi (Artegna, 1926 – Gemona del Friuli, 2005). Le sue opere sono esposte nelle più importanti collezioni museali di tutto il mondo, oltre che al Museo d’Arte moderna e contemporanea di Casa Cavazzini a Udine.

Biografia e carriera artistica: tra Artegna e New York
Figlio terzogenito di Ilde Menis e Emilio, impresario nel commercio del legname, alle scuole elementari iniziò a dipingere “con sfrenatezza”, come diceva Micossi stesso, grazie alla sua maestra delle elementari, il cui incontro fu fondamentale per la sua vena artistica. Dopo la scuola dell’obbligo, si diplomò al liceo Bertoni di Udine. Durante gli anni della Seconda Guerra Mondiale, fu partigiano della Brigata Osoppo e prigioniero in un campo di concentramento nazista in Austria. Nel 1947 si trasferì a Roma, per lavorare nei servizi di terra della Trans World Airlines, una delle maggiori compagnie aeree statunitensi, anche grazie alla sua buona conoscenza dell’inglese: un lavoro che gli permise di viaggiare molto. Nelle pause lavorative frequentò l’Accademia di Belle Arti di Roma.

Nel 1957 mandò una serie di suoi disegni alla redazione della prestigiosa rivista statunitense “The New Yorker”. Glieli accettarono e lo assunsero: da quel momento avrebbe vissuto tra la sua Artegna e New York, continuando a viaggiare in tutto il mondo e ricavandone continui stimoli e nuovi soggetti per la sua produzione artistica. Fondamentale l’incontro a New York nel 1960 con Emiliano Sorini, noto incisore che fu stampatore di Manzù e che lo avvicinò alla tecnica dell’incisione nella quale Micossi eccelse.
“Mario Micossi rientra in quella ristretta categoria di italiani del dopoguerra che ambivano al ‘grande sogno americano’ e sono riusciti a realizzarlo a livello artistico”
[Salvatore Oliva]

Tuttavia il suo baricentro rimase sempre il suo paese natale: Artegna. Dopo il terremoto del Friuli del 1976 raccolse fondi attraverso donazioni di opere sue e di altri artisti americani (De Kooning, Sol Le Witt, Opper, Lichtenstein, Javacheff Christo e altri), facendo conoscere la tragedia accaduta al pubblico americano. Il ricavato fu tutto devoluto alla ricostruzione.
Morì a Gemona nel 2005, a 79 anni.

La pittura di paesaggio “provinciale e sintetica“ di Mario Micossi
Il paesaggio, sia naturale che antropizzato, è il tema prevalente della sua opera: Friuli, Italia, Stati Uniti, Oriente.
“Gran parte dei suoi ‘cicli’ compositivi si riferiscono a paesaggi naturali, rurali o urbani (…) Fu un grande narratore del paesaggio, di quello friulano in particolare, del suo essere ‘completo’, dai monti alle colline, alla piana, dalla geologia delle montagne agli avvallamenti morenici, dalla storia alle vicende umane. E poi scopritore dei fiumi e sopra tutti ‘del carattere aperto, italiano, solare del Tagliamento‘ “
[Marta Mauro]

“La radice realista vi è trasfigurata da ampliamenti prospettici, distorsioni, fughe (…). L’esperienza americana contribuì a plasmare lo stile di Micossi, a dargli quell’intensità ‘asciutta’ di sguardo, accompagnata da una profondità di risonanze mediterranee e latine”
[Licio Damiani]
“La parola- paesaggista- non è limitativa: bisogna essere capaci di effetti sinfonici, masse, toni, piani e soprattutto sintesi“
[Mario Micossi]

“Mario Micossi era un grande paesaggista che non temeva di essere definito “provinciale” quando quasi tutti si dedicavano all’astratto, all’informale, all’action painting, alla visual art, alla land art, alla body art, all’arte povera e ad altre ‘specialità’, perché – diceva – i frequenti contatti con il mondo artistico internazionale lo avevano guarito dal complesso di non apparire provinciale, ed era fiero della sua appartenenza etnica: ‘sono molto onorato – dichiarò in un’intervista –se qualcuno vuol definirmi artista friulano: tale io sono per nascita, per attaccamento affettivo ed emotivo alla mia regione, per il lungo ininterrotto colloquio con il paesaggio del Friuli e i suoi oggetti'”
[Gianfranco Ellero]

“Io stesso imparai da Lui a vedere le montagne del Friuli, che fin da bambino avevo guardato da Udine o dalla pianura. E in un tardo pomeriggio d’inverno, andando verso la sua casa di Artegna, vidi con emozione un tramonto ‘alla Micossi’ sulle Prealpi Giulie.
Seduto accanto alla fiamma del focolare descrissi poi quello che avevo visto, e Lui ridendo rispose: ‘Sì, sì, lo so: qualche volta la natura mi imita!’.”
[Gianfranco Ellero]

“La campagna romana: è lì che è cominciata la mia avventura con il paesaggio. Mi dà sempre emozione vagare e dipingere in questi luoghi. Cerco di ri-catturare i punti di osservazione e gli appostamenti dei grandi pittori francesi del Sei-Sette e Ottocento, o dei romantici tedeschi. Bravissimi ma soprattutto pieni di stupore per tanta bellezza”
[Mario Micossi]

Le tecniche artistiche
Nei primi anni romani, oltre al disegno e all’acquerello, utilizzò il graffito su carta.
“Il graffito è una tecnica grafica molto veloce e di impatto visivo immediato, basata su un principio simile a quello dell’arte incisoria alla quale Micossi si dedicherà con enorme successo negli anni a venire”
[Rafaella Loffreda]

“Fu uno dei pochi maestri moderni dell’acquatinta‘, rivelandosi capace – scrisse il critico del Christian Science Monitor – di usare ‘nelle incisioni una orchestrazione di toni e di masse come in pittura’. Non era quindi un pittore che talvolta incideva, ma un incisore che talvolta dipingeva, all’acquerello”
[Gianfranco Ellero]

“Considerava l’acquerello ‘un’altissima forma di poesia visuale’ per la sua imprevedibilità e la possibilità di trasporre con immediatezza emozioni e sensazioni senza correzioni o pause, e che paragonava alla musica in un’intervista con Gianfranco Ellero, essenziale per comprenderne la poetica”
[Gabriella Bucco]

“Negli acquerelli e poi nelle acquetinte si evidenziano anche le qualità coloristiche di Micossi. Egli mostra una sensibilità straordinaria al colore, un colore acceso dall’interno “
[Marta Mauro]

“Nell’intero ‘corpus’ delle opere grafiche di Mario Micossi, la parte preponderante è costituita da stampe all’acquatinta (…) La tecnica dell’acquaforte, usata singolarmente, è rarissima e si può vedere solo nelle opere dei primissimi anni di attività. L’acquatinta è una tecnica che richiede notevole esperienza, tempi lunghi, precisione, varie accortezze per gestire le granulosità grosse e sottili delle polveri, le morsure dell’acido, che possono essere più o meno profonde. La forza dell’acido deve aggredire il metallo senza ‘bruciarlo’ e, nel caso di Mario, era necessaria anche una particolare attenzione alla successiva commistione dei colori, soprattutto nel momento della stampa. I colori infatti, ultimata la preparazione della matrice, diventavano la ‘questione’ più importante per Micossi, che inchiostrava delicatamente, con più colori sulla stessa matrice secondo il metodo Poupèe, per poi ripulire la materia cromatica in eccesso, con altrettanta pazienza e precisione, sino a ottenere l’immagine desiderata, pronta per essere impressa. La stampa così ottenuta rimaneva unica, per questo veniva identificata con le lettere P.d.A., ovvero Prova d’Artista”
[Federico Santini]



Bibliografia:
- Gianfranco Ellero, Il paesaggio del Friuli secondo Micossi, “Tiere furlane”, 13 (2012), pp. 8-18
Liberamente consultabile in <https://www.regione.fvg.it/rafvg/export/sites/default/RAFVG/economia-imprese/agricoltura-foreste/tiere-furlane/allegati/TF13.pdf> - Mario Micossi pittore e incisore. Catalogo della mostra, Chiesa di S. Antonio Abate, Udine, 24 aprile-7 giugno 2015. A cura di Rafaella Loffreda. Udine : Provincia di Udine, 2015

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